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Il Caramella citò il testo con grande serietà. — Pare che tra lui e il Pianelli ci fosse un qui pro quo, mi capisce? a proposito di una sua cognata, alla quale il qui.... (e indicava l’uscio) el ghe faceva, pare, gli occhi del gatto. Io poi non so, la contano in mille maniere, ci sarebbe stato di mezzo anche un braccialetto, per conseguenza; ma chi le sa queste cose?... il.... qui intendeva di pagare il conto, il Pianelli non ne voleva sapere, e, tira molla, se ne son dette un sacco in ufficio, che non ci sta nemmeno per la dignità del funzionario. Il Pianelli gridava come un disperato, avrà avuto le sue ragioni: l’altro, naturale, si è o non si è superiori, e detto fatto el me ciappa la penna, el te me scrive al Ministero, e in quattro e quattr’otto te me lo confezionano a Grossetto nel napoletano. Conosco da un pezzo il Pianelli e, dininguardi! so come la pensa: è un po’ ostinato anche lui nelle sue idee, ti e mur, ma metterei la mano nel fuoco, figurarsi! Ma intanto chi ha avuto ha avuto. Questa l’è la favola, caro el mio signore.

Il Caramella strinse le labbra, cacciò indietro le gomita, aprì le mani come due ventagli e lasciò che «quel signore» tirasse lui la morale della favola.

Paolino, a intendere queste novità, rimase un momento a bocca aperta, coll’aria goffa

E. De Marchi. Demetrio Pianelli. 28