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barone delle Ipoteche, colla cupa sonorità d’un trombone in ritardo.

Il commendatore, dolcemente acceso e sorridente, brandì il coltellino del formaggio e alzandolo in aria soggiunse:

— Imperciocchè, o signori, non è nè la forza degli eserciti, nè i baluardi delle fortezze, nè le difese alpine, nè le trincere ferrate dei nostri porti che potranno mantenere la pace, salvare il paese, favorire il miglioramento delle classi meno abbienti, diffondere i lumi della pubblica istruzione, ecc.; ma bensì l’unità, la concordia, l’ordine nei principii, l’ordine nelle amministrazioni locali, il disinteresse dei funzionari....

Un po’ anca mo’....

Tutti si voltarono a questa brusca interruzione, molti risero, e cercarono chi aveva parlato. La frase poco rispettosa era sfuggita dalla bocca del Bianconi, che credeva in coscienza di sussurrarla in un orecchio al Caravaggio. Ma fosse l’allegria, fosse il vino bianco, fosse il diavolo, che ha sempre gusto di rovinare un galantuomo, uscì una voce falsa, a contrattempo, che tutti poterono sentire. Rosso, infocato in viso, colle orecchie scarlatte, il povero Bianconi si rannicchiò sulla sedia e avrebbe voluto sprofondare in cantina.

L’oratore, turbato un momento, non si smarrì, ma alzando un po’ la voce rincalzò: