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dicare la strada, di annunciare i pezzi più grossi, di introdurli in un salotto che dava sopra un balcone, dove a poco a poco, nella democratica eguaglianza dell’appetito, si confondevano i gradi e si umiliavano le prosopopee.

Il commendatore, vispo come un pesce nell’acqua chiara, riceveva, ringraziava, stringeva mani di qua, mani di là, dichiarandosi sempre più mortificato e confuso di man in mano che cresceva il numero degli invitati. Il balcone dava sopra un giardinetto a pergolati, dov’erano preparate altre tavole, e sul vasto piazzale della Stazione centrale, che si perdeva in una leggiera nuvola bigia di polvere. Gl’invitati, parte in piedi sul bancone, parte seduti su piccoli canapè, stretti e addossati, aspettavano con una segreta curiosità di stomaco il momento di mettere i piedi sotto la tavola; e quando il cameriere venne ad annunciare che il risotto era in tavola, fu uno scoppio di soddisfazione. Quindi cominciarono le cerimonie a chi doveva passare il primo dall’uscio. Il commendatore Balzalotti voleva che passasse prima il cavalier Tagli: questi non avrebbe mai permesso: gli onori al santo della festa.

— Prego, prego....

— No, prima la provincia....

— No, prima il catasto....