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un bel barbone sotto una bella testa; il «gavaliere» o «gommendadore» Lojacomo, «naboledano», mandato quassù alle «Ibodeghe», nero, rotondo, grave, oscuro, con forti sopracigli e profonde rughe, in cui pareva sepolta tutta la perequazione catastale.
Non mancava, s’intende, il bravo e noto pubblicista invitato dal Quintina ed incaricato di grattare un po’ di formaggio sui maccheroni.
Erano fra tutti, ventidue o venticinque brave persone di solida costituzione ufficiale, tutte rispettabili, o per titoli, o per servigi, o per barba, o per testa pelata, oltre ai pesci piccoli. Il Bianconi tra questi, col suo testone bianco e colla sua faccia di galantuomo sano e modesto, per quanto gli facessero peso fin dal principio quelle benedette sette lire anticipate (e aveva sentito all’ultimo momento che in queste non era compreso il vino di bottiglia); per quanto gli dispiacesse di non vedere cogli altri anche il Pianelli, — benedetto anche lui con quella sua pettegola — cercava però di mostrarsi contento, entusiasmato, commosso della circostanza e per non isbagliare seguitava a sorridere, a dir di sì, a far inchini, ad aprire usci a tutti.
Il Caramella, il Rodella e qualche altro usciere in divisa erano incaricati di custodire i cappelli e i bastoni in anticamera, di in-