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— Tanghero! — avrebbe voluto gridare contro quell’imbecille gaglioffo, che pretendeva di dargli una lezione in ufficio. Ma la bella dentiera di Winderling non lasciò uscire che un suono smorzato come l’onda morta di un tamburo. Demetrio, collocato il cassetto in terra, andava voltando e rivoltando le robe sue, come se facesse un’insalata di stracci. Sentiva quasi al disopra della testa passare lo sdegno di una così grande dignità ferita proprio nella sua poltrona, e, per quanto rassegnato a prendere le cose come il ciel le manda, non era ancora così maestro nell’arte del saper vivere, perchè un resto dell’antica soggezione non gli facesse fastidio e balenìo agli occhi. Quando gli parve di aver finito, raccolto il suo fagottello, si avviò, come se non ci fosse nessuno nella stanza, verso la porta d’uscita, diretto al suo nuovo ufficio.

Il commendatore, in piedi, dietro la scrivania, lo lasciò andare un poco, incerto anche lui di fingere di non esserci e quindi bevere il fiasco nella sua paglia, o se non era il caso invece di toccare il tempo a questo tanghero dalle orecchie rosicchiate, che si permetteva di dargli una lezione in ufficio. Tra i due estremi scelse un terzo termine, secondo la vecchia tattica dell’uomo oculato; cioè, quando vide che l’altro stava per uscire:

— Neh, Pianelli, — disse con una voce d’uo-