Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/383


— 373 —

curva, come se abbozzasse un gobbetto nell’aria, e mormorò:

— Io non ho certe fortune....

L’altro divenne livido, i suoi occhi si velarono e si rimpiccolirono, la bocca umida di saliva si atteggiò a un sorriso mordace, in cui l’ometto maligno cercò di nascondere, come dentro a una maschera, il cupo risentimento dell’animo offeso. Da quella smorfia lunga e indurita tra le pieghe della pelle uscì una voce più falsa del solito, che doveva sembrar nuova anche al suo padrone:

— Senta, sor Pianelli, i miei non si sono ancora appiccati ai travicelli dei solai, e io, firmando qui le mie sette lire, non ho paura di far mangiare a un benefattore i suoi denari.

— Ah! aspetta.... brutto assassino....

Demetrio stese la mano, afferrò un grosso calamaio di peltro e fece l’atto di buttarlo in viso al mostro maldicente; ma il Bianconi gli fermò con una mano il braccio, ponendogli l’altra sullo stomaco, intanto che il Quintina rideva sugli acuti d’un riso fatuo e insolente, facendo il verso d’una gallina che canta.

In quella entrò il commendator Balzalotti e tutti ammutolirono, restando ciascuno al suo posto, fermo nella sua posizione, come le statue di terra cotta che si ammirano al sacro Monte di Varese.