Pagina:De Marchi - Demetrio Pianelli, 1915.djvu/363


— 353 —

sollevata di cuore. Era vispa più del solito, più colorita in viso, straordinariamente vivace come Demetrio non l’aveva vista mai.

— Sedetevi.... — le disse, accennando cogli occhi la poltrona.

— Che bella poltrona! è vostra? sembra quella dell’arcivescovo. E come ci si sta bene.... — soggiunse, mettendosi a sedere e abbandonando la persona sullo schienale. — Dovreste regalarmela.

— Pigliatela.

— Dico per celia.... No, no, son venuta invece per parlarvi di una cosa seria, che voi sapete già. Eravate forse già venuto apposta per parlarmene, ma io vi ho confusa la testa colle mie storie.

— Oggi a me domani a te — mormorò Demetrio, tanto per dire qualche cosa, senza badare se la sentenza che gli usciva di bocca tornava più o meno a proposito.

— Avrete già capito di che cosa si tratta.

— Di che cosa? — dimandò ingenuamente Demetrio, che in quel momento non era ancora entrato nell’idea di Beatrice.

— Non avevate una certa lettera da consegnarmi?

— Ah! — esclamò rimpicciolendo gli occhi, — è vero.... l’ho persa.

— E io l’ho trovata.