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le sue robe e far toeletta in uno stanzino a cui dava il nome di studio.

Intanto cercava di calmare i nervi scossi dalle emozioni della giornata e di farsi una persuasione ch’egli nè aveva rubato, nè era sua intenzione di rubare. Scongiurata una brutta tempesta, egli avrebbe domani o dopo riparato al disordine e stoppata la bocca a tutti i malevoli che avevano creduto di rovinarlo. Il suo caro suocero di Melegnano lo avrebbe aiutato in quest’opera di riparazione, o egli l’avrebbe fatto saltare, come si dice, finchè non avesse pagato il resto della dote di Beatrice.

Cesarino stava accarezzando un magnifico nodo di cravatta, che gli era uscito fresco dalle mani come se fosse modellato da un artista, quando Beatrice, preceduta dal fruscìo strisciante dello strascico, accompagnata dall’Elisa, entrò, splendida come una principessa, nel bellissimo vestito nuovo che le fasciava la vita, la radice delle braccia solide e il petto ampio colla morbida e tesa precisione di un guanto. Le spalle nude d’un candore molle di latte spiccavano sulla lasagnetta di pizzo dorè che orlava le sinuosità e le ondulazioni profonde del suo busto di surah aperto fin dove la decenza si accorda colla bellezza (un punto metafisico in cui le donne non sono tutte d’accordo). Al collo non aveva