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III.


Demetrio, immerso nella sua febbre ardente, col cervello in burrasca, passava di sogno in sogno, l’uno più stravagante dell’altro. Una mano prepotente andava agitando e scrollando il logoro libro della sua vita, facendone cadere e sparpagliandone le pagine, le memorie, fino i piccoli segni.

Una volta vide la sua povera mamma, che pareva viva, nella sua persona mal ridotta dall’età e dalle fatiche, vestita di una sottana poverella poverella di cotone, coi piedi in due zoccoli alti, coi capelli duri cascanti come lische sopra le tempie ossute e giallastre. Veniva dall’orto con un cavolo sotto il braccio e Demetrio le disse: — Non faticate troppo, tanto è lo stesso. Vi farete canzonare e maledire.

La povera donna masticò delle parole grosse che non poterono uscire dalla bocca, e indicò il cielo col dito.

Un’altra volta era Cesarino, colle gambe diventate sottili dentro i calzoni neri raggrinziti dalla pioggia, che seguitava a discorrere