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gno di tradire i segreti del cuore. La chiaroveggenza degli spiriti immaterializzati basta a sè stessa. Si accomodi.
Il mago (per chiamarlo col nome che si presentò alla mente di Paolino in mezzo al guazzabuglio dei pensieri), senza far rumore, come se camminasse sull’aria, scomparve per un usciolino segreto che cigolò dolorosamente dietro di lui.
Paolino sentì di nuovo la sua voce, divenuta più cavernosa, che parlava ancora di coturni e un’altra intrecciata alla sua, che pareva quella di una donna piangente.
Guardò un momento intorno, senza ardire di movere un piede dal posto dove il bravo signore l’aveva lasciato.
Era un gabinetto di poca ampiezza e poco bene rischiarato da una finestra che dava sopra un tettuccio sconnesso, seminato di erbaggi e di cocci bianchi. Per passare non c’era che un piccolo spazio tra una sedia e una grossa tavola di noce posta sotto la finestra e tutta piena di libroni legati in cartapecora con su un orologio a polvere, tra due colossali corni di bufalo imperniati su piedestalli di legno neri. Sopra una mensola attaccata all’imposta, una civetta imbalsamata stava a guardare cogli occhi gialli.
Paolino andava osservando tutte queste minuzie per distrarsi, per tornare un uomo ra-