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venisse a darle il fuoco; cercava di non pensare a madama, e, di pensare invece alla sua Beatrice. A volte non sapeva più distinguere tra queste due donne, che s’incarnavano in una sola cosa di genere femminile, posta in mezzo alle case di Milano, per la quale egli si era mosso, e della quale aveva una gran paura, ma non sarebbe per questo tornato indietro. La grande città l’attirava come una voragine. Quel non so che di sacro e di pauroso, che hanno per un bambino le storie degli spiriti e delle fate, investì il nostro innamorato al comparire delle prime case del sobborgo. Passato il dazio di porta Romana, quando la carrozza cominciò a correre solennemente e a sonare sul selciato della città, gli parve che Milano gli cadesse sul capo, crepitando, come un castello di carte.

Giunti presso il teatro Carcano, Bassano fermò i cavalli davanti alla porta del Vismara, grosso negoziante di riso, col quale Paolino era in continui affari. Il padrone discese e passò nello studio a stringere un contratto per qualche centinaia di sacchi. Nel trattare esagerò a posta i prezzi dei generi per dar luogo a una viva discussione, per mettere molte parole, molte cose estranee, molti sacchi di riso tra lui e quella donna, a cui tra poco doveva parlare di Beatrice.

Nell’uscire da quella casa si sentì meglio: