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tile, e pianse col singhiozzo addolorato e rauco dell’uomo che non piange da un pezzo.

— Perchè piangete, voi?... Non ne avete colpa, lo so. Anche voi avrete agito in buona fede.... Io non vi accuso di questo, Demetrio. Abbiate pazienza. — Così sorse a dire con tono compassionevole la cognata.

Quando fu dissipato quel gran fumo che gli velava il lume degli occhi, quando finalmente potè parlare, egli si voltò con un moto pronto e risoluto:

— Sentite, — esclamò con una voce diversa di prima, — è detto che io sono un povero imbecille — e siccome Beatrice voleva contraddire, egli gridò: — no, no, no: è vero, lo sono, lo sono. Se non lo dice nessuno, lo dico io: io sono un imbecille, un bestione, — insistè, portando i due pugni stretti alla fronte, — un mammalucco, sono.

Beatrice voleva di nuovo protestare.

— No, abbiate pazienza, lasciatemi dire. Io sono anche un imbecille presuntuoso, che dò pareri agli altri e non ne tengo per me. È giusto che porti la pena della mia asinità; ma sentite, Beatrice, com’è vero che stamattina ho fatto la santa Pasqua, — soggiunse alzando le due mani giunte — io sarei il più vergognoso degli uomini, se questa ingiuria che vi hanno fatta non la ricacciassi in gola....