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La stanza da letto dava sulla corte e risentiva la tristezza della giornata piovosa tra i muri bigi e i tetti neri e lucenti. Le tendine di mussolina, ingiallite di polvere, rendevano ancora più spenta la luce.

Beatrice stava nella parte a sinistra del suo letto matrimoniale, verso la parete più lontana dalla finestra. La destra era libera, intatta, come l’aveva lasciata il povero Cesarino.

— Come va?

— Sto meglio, è un po’ di febbre.

— Guarda, forse il tem.... forse il tempo.

Demetrio fissò gli occhi sulla finestra. Pioveva fitto, di gusto, battendo sui vetri; e tratto tratto passava nella furia del vento un lampo.

— Piove come se non fosse mai pio.... piovuto — tornò a dire Demetrio, dritto verso la finestra, senza voltar la testa verso Beatrice, come se fosse venuto a strologare il tempo e non per altro.

Seguì un istante di silenzio, dopo il quale Beatrice prese a dire:

— Avete avuta la pazienza di condurre Naldo con voi....

Pover patanèll!... — disse lo zio con un movimento, quasi uno scatto del capo. E soggiunse: — Pensavo che si potrebbe mandare Mario alle Cascine. La Carolina è meglio di