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stupiti in quegli occhietti lucidi che la affrontavano con violenza, con sete, guardò paurosamente intorno a sè, si sentì sola, chiusa dentro, in casa altrui, in balìa altrui, si smarrì, supplicò con un gemito....
— Senti.... Non sei tu libera e padrona di te? non posso io fare del gran bene a te ed a’ tuoi figliuoli?...
Beatrice si coprì il volto colle mani. Le pareva di scendere in una gola tenebrosa e senza fondo.
— No, forse? — ripeteva la vocina rasente al suo orecchio.
Nell’impeto del ribrezzo essa ritrovò l’energia: si alzò, con un gesto duro del braccio respinse l’insistenza di quel bravo signore. Gli occhi le si riempirono di un’insolita vita, la bocca si contrasse a un tremito di sdegno e di sarcasmo. Poi, come vinta alla sua volta dall’eccesso nervoso della sua energia, cadde di nuovo a sedere e, con la faccia dentro il fazzoletto, si pose a piangere dirottamente come una bambina battuta.
Il cavaliere, squilibrato, pentito, vergognoso, ma non istupidito del tutto, capì d’esser fuori di strada. Il cavallo gli aveva tolto la mano e prima di ribaltare del tutto cercò di mettere avanti le mani. Aveva voluto fare della poesia, alla sua età: male. Beatrice non era certamente venuta per sentire a recitare dei