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sempre qui in casa con te come un cagnolino, a fare i conti dei rocchetti e delle matasse? e quando mi lamento io di questa vita? e non dico sempre che il Signore mi ha voluto bene e che sono stata fortunata? e non conservo forse sempre per memoria l’ultimo paio di zoccoli che ho lasciato ai piedi della scala quella notte che tu mi hai detto che mi volevi bene? Ti ricordi? tua madre non voleva che tu mi sposassi, e noi ci siamo sposati lo stesso.... ti ricordi? quella notte, in quella stessa stanza.... Oh no! non meriti nemmeno che io te ne parli. Allora sì mi volevi bene; ora perchè sono diventata vecchia, sono la vespa, la biscia, l’ingrata, l’infame.... Oh, è troppo! io morirò di crepacuore....
E la povera Palmira piangeva davvero un fiume torrenziale di lagrime, ingannando quasi sè stessa. Le spalle, il collo, il viso s’infiammarono sotto la violenza di quel piangere dilagato, a cui il buon Melchisedecco non sapeva come porre un argine. Egli mormorò qualche parola, cercò di giustificare ancora una volta più dolcemente la sua condotta, promise di non farlo più, docile, mortificato come un bambino, e tornò in fabbrica col corpo rotto dal pentimento.
— Mi sarò ingannato, — diceva dentro di sè, — ma corrispondenze non ne voglio.