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Beatrice stava a sentire incantata, quasi impaurita di queste famose massime. Il coraggio e lo spirito di Palmira l’intimidivano. Non capiva come vi potessero essere donne così temerarie, da tentare la pazienza e le furie di un povero uomo a quel modo.
— Scrive che, finita la stagione di quaresima, tornerà in Italia.... Oh, bravo!...
Palmira agitò nell’aria il foglio e se lo portò alla bocca.
— Sì, sì, va bene, ma tu sei troppo.... — provò di nuovo a dire con lento accento di rimprovero la buona Beatrice, che faceva con Palmira la parte del buon Angelo.
— Troppo che cosa? — saltò su la Palmira, guardandola cogli occhi socchiusi. — Cara la mia innocentina! non tutte hanno l’arte di spennacchiare la gallina viva senza farla gridare. O che tu sei diversa dalle altre?
— Che cosa credi? — esclamò Beatrice, arrossendo.
— Io non voglio saper niente, non sono il tuo confessore. Lasciami vedere se non è giù ancora a far la guardia.
Palmira andò a spiare dietro le gelosie socchiuse e guardò a destra e a sinistra. Quando fu certa che Melchisedecco non c’era, stracciò in cento pezzetti la lettera, che seminò per la stanza, e soggiunse:
— Vado intanto che ho la furia addosso.