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La buona sorella Carolina, alla quale lesse la minuta della lettera, suggerì una frase, «porgere grato orecchio», che le era rimasta in mente fin dal tempo del collegio.

Non contento ancora, Paolino volle far sentire lo scritto anche a don Giovanni, curato di Chiaravalle, un vecchietto di molto buon senso pratico, che propose una chiusa: «voglia dunque alla stregua di queste considerazioni perdonare la mia improntitudine».

Per quanto Paolino non entrasse molto bene nel significato di questa «stregua» accettò e introdusse anche la frase del buon vecchietto, per dare anche a lui la sua parte di responsabilità.

Trascrisse la lettera su un bel foglio quadrato coll’aiuto della falsariga, senza una macchia, senza una cancellatura e mandò il suo letterone aperto a Demetrio, perchè vedesse e giudicasse anche lui.

Demetrio lesse una volta con una faccia tra l’irritato e l’indifferente.

Ognuna di queste parole scritte colla calligrafia commerciale del cugino era un chiodo che egli doveva ribadire nel cuore di Beatrice. E non se ne sentiva più voglia.

Gli parve che il signor cugino avrebbe potuto sbrigarsi da sè, senza bisogno d’ambasciatori. Egli non faceva il portalettere per nessuno. In un atto subitaneo e irragionevole