Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 245 — |
desse una risposta a una domanda che non aveva fatto. Guardò in alto il cupolone, e una volta l’orologio del caffè che confrontò col suo: quella donna la vedeva in ombra davanti, la sentiva presente, la pensava, ma non avrebbe osato guardarla per paura.... Paura di che? Lo sa Dio....
Finalmente arrivò un gran vassoio pieno di chicchere, di panetti, di paste dolci e lo zio ebbe a occuparsi a distribuire, a versare, a far le parti giuste. A Beatrice offrì una bella veneziana fresca e siccome essa esitava ad accettare: — Andiamo, andiamo, — disse con una certa furia screanzata, — che sciocchezze! — E nel dir queste parole sentì di nuovo una vampa di fuoco pigliargli il corpo, salire al collo, alle orecchie, alla radice dei capelli.
Per fortuna capitò che Ferruccio lasciasse cadere un cornetto intero di pane nella chicchera. Ciò sollevò l’ilarità di tutti, anche di Beatrice, anche del sor Demetrio, e il tempo passò presto. Invece di chiamare il cameriere, il signor zio andò al banco a pagare, cosa che non si usa più in un caffè rispettabile, e servì anche questo a divertire quei bravi giovinotti.
— Bisogna che io me ne vada.... finite con comodo — tornò a dire. — Ci rivedremo più tardi, stasera....