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la tazza immensa e trasparente della cupola, un vero barbaglio per chi ci va una volta tanto.
Beatrice si rimirò subito nello specchio di fronte, badò a sedersi bene, lieta in cuor suo — senza dirlo a sè stessa — perchè i camerieri s’erano voltati tutti al suo entrare. Al Biffi era venuta l’ultima volta col povero Cesarino la vigilia di Natale, ma s’era angustiata per un ufficiale di cavalleria, che non aveva mai cessato di fissarla come se avesse voluto bruciarla cogli occhi. Cesarino finì coll’accorgersene e nel tornare a casa l’aveva fatta piangere.
— Pren.... prendete un caffè e latte? — domandò Demetrio, guardando in terra.
— Un caffè e panna, volentieri — rispose Beatrice.
— Allora, uno, due, tre, quattro, cinque e sei caffè e panna, — disse al cameriere, contando col dito teso gl’invitati, — del pane e quattro paste....
E sedette in faccia a Beatrice, senza accorgersi che tre o quattro camerieri in fondo alla sala sbirciavano, ridendo sotto i bei baffi, il redingotto e il cilindro ancor nuovo fiammante.
Mentre si aspettava, lo zio, che aveva il cuore contento, prese un’orecchia di Naldo tra le dita e la tirò. Poi si voltò a guardar fisso in faccia all’Arabella, come se preten-