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ta alla Sacra Mensa e s’era lavato il muso e le mani in un modo straordinario. La signora Grissini gli prestò per la circostanza un vestito d’un suo figlio morto vent’anni innanzi, e così aggiustato con certi guantini bianchi, che gli squarciavano e gli indurivano le dieci dita delle mani, Ferruccio venne a cercare Arabella.
Essa gli aveva promesso un bel cravattino bianco. La fanciulla, sentendosi chiamare, venne un momento in cucina, avvolta in una nuvoletta bianca, cioè in un vestitino a blonde leggiere con pizzi volanti, con un velo appuntato nei capelli. Se avesse potuto vederla il suo papà, che era tanto ambizioso di quella sua bellezza! Che caro angiolino con quei capelli color del lino, sciolti sulle spalle! Lo zio Demetrio sentì una mano che gli carezzava il cuore, una mano di velluto.
Arabella si fermò il tempo di mettere la cravatta a Ferruccio, che lasciò fare, stando ritto in mezzo alla stanza. Le piccole mani della fanciulla si agitarono un poco, il nodo fu fatto, accomodato: aggiustò anche la capigliatura cespugliosa del ragazzo coll’aria materna di chi dà due scappellottini.
— Sta raccolto e pensa alla tua mamma — gli disse.
Ferruccio rispose di sì col capo. Se egli aveva capito qualche cosa della Santa Eu-