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— Sei tu? — esclamò lo zio, lasciando cadere la forchetta nel ramino.

La povera tosetta, vestita d’un modesto abito bigio, col velo in testa e un fazzolettino di lutto al collo, pallida in mezzo a tanto nero, venne avanti colle mani raccolte sul libretto da messa e fece un cenno del capo, come se volesse dire: — Sono io.

Ma la voce non uscì. Essa tremava di vergogna e di soggezione.

— Che cosa vuoi? chi ti ha accompagnata?

— Ferruccio.

— Siedi.

— Zio! — soggiunse la fanciulla, aprendo i suoi larghi occhi di velluto, — è proprio in collera con noi?

— Sono in collera con nessuno, ma sto a casa mia — si affrettò a dire lo zio senza tante cerimonie.

— Non ci abbandoni per carità, zio, per carità!....

La voce di Arabella s’intenerì e rasentò il pianto, contro il quale ella faceva di tutto per resistere.

Lo zio rispose con una ruvida alzata di spalle e brontolò: