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po che i Pianelli abitavano a San Donato, un fondo limitrofo: e ora si rivedevano sempre volentieri senza bisogno di dirselo.

Nei lunghi pomeriggi domenicali, i due cugini, colle spalle appoggiate al muro di un pollaio e coi prati distesi davanti fin che l’occhio poteva correre, stavano a discorrere un gran pezzo di coltivi, di concimi, di piante, di riforme agrarie, che non c’era nessun obbligo di eseguire.

Oppure pigliavano la canna e andavano a pescare nei canali o nello stagno presso la chiesa, finchè, fatto quasi buio, il regio impiegato pigliava il treno a Rogoredo e rientrava in città stracco e colla testa piena di erba come una cascina. Al taglio dei fieni il delicato profumo dell’erba secca lo accompagnava fin sotto le lenzuola, e svegliandosi la mattina, ne trovava ancora dei fascetti nelle scarpe.

La prima stanza dietro l’uscio, che serviva d’anticamera e da salotto, conteneva un canterale, un tavolino, alcune sedie e una vecchia poltrona di vacchetta, a schienale diritto, a grosse borchie d’ottone, ridotta magra anch’essa dall’età e dall’astinenza. Nell’altra stanza c’era un inginocchiatoio di vecchio stile con su un crocifisso vecchio vecchio anche lui. Erano i pochi avanzi salvati dal naufragio