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casa, il maestro passò nel salottino e cominciò ad arpeggiare sulla tastiera tanto per far venire l’ora solita che il riso andava in tavola. Egli sperava, coll’ingenuità dell’artista, che la signora Beatrice avrebbe continuato le buone tradizioni del suo povero marito, anche in considerazione di quella ventina di biglietti che non erano mai stati pagati. Solo che, nelle battute d’aspetto e nei brevi intervalli tra un arpeggio e l’altro, gli pareva d’intendere un gran silenzio, non solo in cucina, ma in tutta la casa, mentre le altre volte c’era quel dolce tintinnìo di posate.

Non sapendo come spiegare questo insolito ritardo, il maestro provò a cantare, colla sua voce stanca di vecchio baritono, l’a-solo del re Filippo.

Dormirò sol nel manto mio regal....

— Scusi, maestro, c’è la mamma che si sente male.... — venne a dire Arabella.

— Oh, se avessi saputo.... Che cosa ha?

— Un po’ d’emicrania.

— È il tempo. Allora ci rivediamo martedì?

— Glielo saprò dire, non so.... — balbettò Arabella arrossendo.

— Ad ogni modo, non esca per ora dagli arpeggi. Adagio, conti a voce alta, e giù bene i polpastrelli.