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do di Melegnano l’anno mille e ottocento cinquantasei, l’anno del colèra, ai tanti di novembre.
— Senta....
— L’avvocato Ferriani, che non è un’oca, dice e sostiene che ho tutte le ragioni. Negli articoli del capitolato c’era una clausola che contemplava appunto la restituzione di quel precario, per cui io ho diritto a un risarcimento, sì o no? Si tratta di ottanta mila lire, non un quattrino, e in queste c’è la dote di mia figlia, che vuol dire il pane de’ suoi figli, sangue del mio sangue. Pazienza ancora se i denari andassero a sollievo dei poveri; ma lei sa meglio di me che in queste pie amministrazioni è un rubamento e un mangiamento generale. Mangia l’ingegnere, mangia il ragioniere, mangia l’economo, mangia l’avvocato che fa le cause, mangia il giudice che fa le sentenze, mangia la Corte d’Appello che le rivede e su su, ladro via ladro fa ladro, è tutta una consorteria birbona.
— Scusi....
— E io, bestia, mi son sempre fidato. Ma dice bene quel nanis quanis del mio avvocato: la pazienza dei popoli è la mangiatoia dei tiranni, e sento anch’io che un po’ di catastrofe universale di tanto in tanto ci vuole....
— Ma senta....