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Angiolina aveva portato cinquemila lire di dote e che, se egli era stato tanto buono e rassegnato finora a non domandare i conti, ora, sul punto di lasciare il servizio militare per farsi una carriera, non poteva più trascurare i suoi diritti.
Demetrio tornò a rispondere al signor sergente-furiere ch’egli non sapeva nulla di dote; che se anche c’erano state le cinquemila lire, il fallimento se l’era mangiate. Venisse e vedesse che cosa era rimasto di casa Pianelli.
Il contrasto si fece ancora più vivo, allorchè Cesarino, lasciato il servizio, venne a Milano in cerca d’un impiego. La sua grande aria di superiorità, resa ancor più altera e imponente da un certo piglio soldatesco, cominciò ad irritare fin dal principio il fratello bifolco, che aveva sul libro vecchio della memoria tutti gli arretrati delle passate mortificazioni.
Poichè non c’era più nè babbo nè mamma, disse al sor sergente più d’una verità che gli stava da un pezzo in gola, senza troppo condirla. Cesarino, già fin d’allora molto lord Cosmetico rispose con un risolino ironico di schifo e con un proverbio del paese, che tradotto in lingua povera veniva quasi a dire: da una zucca non può nascere che una zucca.