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norini, fu collocato in un battaglione d’istruzione, da dove uscì col grado di caporale maggiore. Poi scoppiò la guerra del ’66 e addio casa! Il peso dei debiti, dei protesti, dei sequestri, del padre vecchio, malato, rimbambito, cadde di nuovo sulle spalle del povero bifolco, che non per nulla era nato prima. Mentre la casa si sfasciava da tutte le parti, era bello (bello, per modo di dire) vedere il vecchio pà Vincenzo seduto fuori dell’uscio, al sole, colla bocca aperta, con una berretta di maglia a righe rosse in capo, col fiocchino ritto come si dipinge la fiamma dello spirito santo, le mani sulle ginocchia, gli occhi perduti nell’aria e nel verde pacifico dei prati, in mezzo a un milione di mosche che se lo mangiavano vivo.

Demetrio vendette il canterano di maggiolino della sua mamma e coi quattro stracci si ridusse a Milano, dove un suo zio prete, don Giosuè Pianelli, canonico in Duomo, gli procurò un posto provvisorio di scrivano nella cancelleria della Curia arcivescovile.

C’era appena di non morir di fame, anche dopo aver venduto tutto ciò che s’era potuto sottrarre alle mani del fisco. A Milano il vecchio Pianelli trovò, se non altro, meno mosche. Tirarono innanzi tre anni, campando colla misericordia di Dio, su qualche ultimo boccone della dote di mamma Teresa, finchè