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parte seconda. 223

partire e noi approcciammo sino incontra la città per di dietro, e trovammo là alquanti di nostre genti morti, che i Saracini, dopo ch’e’ si erano traforati nella città, avevano uccisi e fuorgittati. E dovete sapere che la costa per ove noi dovevamo salire era assai perigliosa; perchè in primo luogo ci avevamo tre muri a sorpassare, e poi il dirupo era così infranto e smottato che nullamente vi si poteva tenere a cavallo: e nell’alto del colle ci avea gran quantità di Turchi a cavallo là veramente ov’egli ci conveniva montare. E in quella io vidi che taluno de’ nostri a un cotal luogo rompevano le mura della città, ed io mi volli tirare ad essi cavalcando. Un Cavaliero de’ miei pensò allora varcare in salto il muro, ma il cavallo gli cadde sovra rovescione; per che quando vidi ciò, mi discesi a piè, e presi il mio cavallo per lo freno, e la spada in pugno montammo arditamente contramonte quel colle. E allorchè li Turchi, ch’erano in sull’alto, ci videro andare ad essi sì fieramente, così come volle Iddio, se ne fuggirono e ci lasciarono lo spiazzo franco. E in quello spiazzo ci avea un sentieruzzo tagliato nella roccia che discendeva nella città: perchè quando noi fummo colassù donde erano fuggiti i Saracini indirizzandosi al castello, gli altri Saracini ch’erano nella città non osarono venire a noi, e si fuggirono anzi per temenza del sovracapo, fuora della città, e la lasciarono all’altre nostre genti senza nullo dibattimento di guerra. E ben sappiate che durante ch’io era in sull’alto di quel colle il Maresciallo del Tempio udì dire ch’io era