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parte seconda. 157


Ma così come Dio volle, il quale giammai non obblia i suoi servidori, egli fu accordato, intorno a Sol cadente, in tra gli Almiranti che noi saremmo diliberati, e ci fecero rivenire verso Damiata, e furon messe le nostre quattro galee tutto presso il rivaggio del fiume. Adunque ci femmo a richierere d’essere messi a terra. Ma i Saracini nol vollero punto fare sino a che noi avessimo mangiato. E dicevano, che ciò farebbe onta agli Almiranti di lasciarci uscire di lor prigioni tutto digiuni. E tantosto ci ferono venire alcune vivande dall’oste, e ciò furono de’ bitorzoli di formaggio rincotti al sole, affinchè i vermini non vi incogliessero, e dell’ova dure lessate da quattro o cinque giorni; e questi, per l’onore di nostre persone, li aveano fatti alluminare sulle coccia in diversi colori.

E appresso che ci ebbero così pasciuti, ci sposero a terra, e noi ne andammo di verso il Re, che i Saracini ammenavano del paviglione ove lo avean tenuto, in contro l’acqua del fiume, e ce n’avea ben venti mila a piè colle spade cinte. Ora avvenne che nel fiume davanti il Re si trovò una galea di Genovesi, nella quale non appariva sovra coperta che un uomo solo; il quale, quando vide che il Re fu a dirimpetto della sua galea, cominciò egli a fistiare. E tantosto ecco qui sortire del soppalco della galea bene ottanta ballestrieri bene arnesati, le loro ballestre tese, e le frecce suvvi. Il che come videro i Saracini, cominciaro a fuggire a modo di berbici spaurate, nè anche col Re ne dimoraro più di due o tre. Li Genovesi allora gittarono a terra una pan-