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126 la sesta crociata.

delle povere femmine allorchè travagliano dello infantare, sì che me ne venìa al cuore grande scuriccio e riprezzo.

Quando il buon Re San Luigi vedeva quella pietà, egli giugnea le mani, levava la faccia al cielo, benedicendone a Nostro Signore di tutto ciò che gli donava. Tuttavia pur vedendo ch’egli non poteva così lungamente dimorare, senza che ne morisse egli e tutta sua gente, ordinò di muovere di là il Martedì a sera, l’ottava di Pasqua, per ritornarsene a Damiata. E fece comandare da parte sua a’ marinieri delle galee che apprestassono lor vascelli, e ch’essi raccogliessero tutti i malati per menarli a Damiata. Così comandò egli ad uno nomato Giosselino di Curvante, e ad altri suoi Maestri d’opere ed Ingegnieri ch’essi tagliassono le corde alle quali s’attenevano i ponti che fean la via tra noi e i Saracini. Ma, come mali pontonai, niente non ne fecero essi, donde poi gran dannaggio ne avvenne. Quando io vidi che ciascuno s’apprestava per andarsene a Damiata, mi ritirai nel mio vascello con due de’ miei Cavalieri ch’io aveva anche solo di rimanente, e coll’altra mia masnada. E sulla sera, allorch’egli cominciò ad annerare, comandai al mio cómito ch’e’ levasse l’àncora, e che noi ne andassimo a valle. Ma egli mi rispose che mica l’oserebbe perchè intra noi e Damiata erano nel fiume le grandi galee del Soldano che ci prenderebbono e ucciderebbono tutti. Li marinieri del Re aveano fatto di grandi fuochi per raccogliere e riscaldare i poveri malati nelle loro galee, ed erano li detti