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parte seconda. 103

Maestro de’ Tempieri, il quale avea l’antiguarda, m’avea donato, e la feci tendere a destra degli ingegni che avevamo guadagnato sui Saracini. E ciascuno di noi bene si volea riposare, chè ben mestieri n’avevamo per le piaghe e nàvere toccate dei colpi duri e spessi di quella miserevol battaglia. Ma avanti la punta del giorno si cominciò nell’oste a gridare: a l’armi, a l’armi; e tantosto io feci levare il mio Ciambellano, che mi giacea presso, per andar vedere che ciò era. E non tardò guari ch’egli non ritornasse tutto isbaìto, gridandomi: Sire, or su, or su, perchè vedete qui i Saracini a piè ed a cavallo che hanno già disconfitto le genti che ’l Re avea ordinato a fare il guato, ed a guardare gl’ingegni dei Saracini che noi avevam guadagnato: ed erano essi ingegni tutto davanti i padiglioni del Re e di noi altri a lui più prossimani. Di che mi levai ratto sui piedi, e mi gittai la corazza indosso e un cappello di ferro sulla testa, ed appellando le nostre genti, che tutte erano magagnate, pur come ci trovammo, ributammo i Saracini fuor della fronte degl’ingegni ch’essi volevano riscuotere; e poscia il Re, per ciò che noi non potevamo vestire nostri usberghi, ci inviò Messer Gualtieri di Castillione, il quale si locò intra noi e li Turchi per essere al davanti degl’ingegni.

Quando il detto Messer Gualtieri ebbe ributtato li Saracini per più fiate, i quali notturni volevano dirubarci ciò che ’l dì avevam guadagnato, e che essi videro come non ci poteano niente fare nè sorprendere, si ritiraro essi ad una forte battaglia di