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parte seconda. 87

sul suo cavallo, e gli teneva il freno un suo cavaliero: e intanto che il Saracino levò le mani alla sella per voler montare, io gli diedi della spada sotto le ditella tanto come potei metterla avanti, e lo freddai di quel colpo. Quando il Cavaliere vide il suo Sire morto, abbandonò egli signore e cavallo, e m’ispiò al ritornare, e mi venne colpire di sua lancia un sì gran colpo tra le spalle ch’elli mi gittò sul collo del mio cavallo, e mi tenne così pressato ch’io non poteva sguainar la spada che aveva cinta, ma mi bisognò tirare un’altra spada ch’io aveva alla sella del cavallo, donde bene mestieri me ne fu; e quando egli vide ch’io aveva la spada in pugno, elli ritirò di forza la lancia che io avea afferrata, e s’arretrò da me. Ora avvenne ch’io e i miei Cavalieri trovammo de’ Saracini fuora dell’oste, e ne vedemmo qua e là ben presso a sei mila che si erano gittati alla campagna e aveano abbandonati gli alloggiamenti: perchè quando essi ci ebber veduti cosi spartati, ci vennero correr sopra di gran randone, e là uccisono Messer Ugo di Tricciatello Signore d’Isconflano, il quale portava la bandiera della nostra compagnia: e parimente presono Messer Raullo di Guanone della detta nostra compagnia, lo quale essi avevano abbattuto a terra. E in quella che l’ammenavano i miei Cavalieri e me il conoscemmo, e lo andammo arditamente riscuotere e liberare dalle lor mani. Ed in ritornando di quello affronto li Turchi mi donarono di sì gran colpi che il mio cavallo s’agginocchiò del gran peso che gli toccò sentire, e