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82 la sesta crociata.

tiravano attraverso il fiume dardi e verrettoni, di che tutto era pieno.

Il Conte d’Angiò fratello del Re guardava di giorno i gatti incastellati, e tirava nell’oste de’ Saracini con ballestre. Ora aveva comandato il Re che appresso che il Conte d’Angiò ci avea fatto il guato durante il giorno, noi altri della mia compagnia il facessimo durante la notte; donde eravamo a gran pena ed a grande sollicitudine, perchè li Turchi aveano già rotte e fracassate nostre tende e nostri ripari. Ora avvenne che codesti Turchi traditori ammenarono di giorno la loro Petriera davanti le nostre parate, quando il Conte d’Angiò le difendea. Ed aveano accoppiati tutti li loro ingegni, donde essi gittavano senza rallento il fuoco greco sul nostro argine traversagno tutto di faccia delle nostre bastite, sicchè nullo si osava mostrarsene fuora e scovrirsi; perchè in allora i nostri due gatti incastellati furo in un momento consumati e bruciati. Per la qual cosa il detto Conte d’ Angiò, che li dovea guardare quel giorno, ne uscì quasi fuori del senno e si volea gittare di dentro il fuoco per estinguerlo o morirvi. Su di che i miei Cavalieri ed io dovemmo render grazie a Dio, perchè, se i Saracini avessero atteso a notte a far loro sforzo, noi ne saremmo stati tutti arsi e bruciati.

Il che veggendo il Re, fece egli una richiesta a’ suoi Baroni che gli donassono e trovassono modo di aver legname de’ vascelli ch’essi avevano sopra mare, ciascuno di sua parte il più che potrebbe,