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parte seconda. 77

E tantosto quel Sceceduno inviò una parte delle sue genti a passare di verso Damiata ad una piccola città chiamata Surmesac, la quale è sul fiume di Rosetta, e vennero a cadere da quel lato sulle nostre genti. E il proprio giorno di Natale, in quel tanto ch’io era a desinare col mio compagno d’armi Pier d’Avalone, e tutti i Cavalieri nostri, li Saracini entrarono nell’oste, e vi uccisero alquanti poveri che se n’erano ai campi sbandati. E incontanente noi montammo a cavallo per andare alla riscossa, donde gran mestieri ne era a Monsignor Perrone nostr’ospite, che si trovava fuora dell’accampamento, perchè avanti che fussimo là li Saracini l’avean già preso, ed ammenavano lui e suo fratello il Signore di Val. Allora noi piccammo degli sproni, e corremmo su i Saracini e riscuotemmo que’ due buoni Cavalieri ch’avean già messi per terra a gran forza di colpi, e li rammenammo nell’oste. I Tempieri ch’erano all’erta fecero bene ed arditamente la retroguarda, ma con tutto ciò li Turchi ci venivano sopra di gran coraggio da quel lato guerreggiandoci forte e fermo, sino a che il nostro accampamento non si fu chiuso di fossato di verso Damiata, da quel fiume là insino al fiume di Rosetta.

Quel Sceceduno Capitano de’ Turchi, di cui ho parlato qui davanti, era tenuto il più valente e prode di tutta Paganìa. Egli portava nelle sue bandiere le armi dello imperadore che l’avea fatto Cavaliere, ed era la sua bandiera partita in banda, e nell’una banda e’ portava armi parecchie a quella del Soldano