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Emilia invece, senza parlar mai della sua sensibilità, era di fatto di tempra assai più sensibile di Ortensia. Con pazienza sopportava i piccoli incomodi della vita, come la stanchezza d’una lunga passeggiata, il caldo, il freddo, il sole, la pioggia, il vento, la sete, il languore, ovvero un posto disagiato in carrozza, in chiesa, in teatro, a tavola, in letto, un rumore fastidioso, un odore poco soave, un cibo non piacevole, il discorso d’una persona molesta, un lavoro poco geniale ecc; mostravasi sempre ugualmente contenta ed ilare e s’uniformava ai progetti, ai desiderii altrui per non offendere la suscettività di alcuno o recar disturbo a chicchessia. — Se poi trattavasi di curare un ammalato, di consolare un afflitto, di riconciliare gli animi irati di alcuni suoi cari, benchè soffrisse immensamente dentro di sè, sapeva vincersi, e neppure il più orrendo spettacolo di dolore l’arrestava dal compiere la sua opera di misericordia o di pace. — Ella assisteva impavida a qualunque chirurgica operazione, porgeva gli ultimi conforti ai moribondi, s’esponeva al pericolo di malattie contagiose, si spogliava del suo per soccorrere gl’indigenti, senza però mai vantarsene, e mostrando così d’amare il prossimo, il suo dovere di cristiana, più delle sue ricchezze, della sua quiete, della sua stessa vita, ed era salutata ovunque l’angelo di carità.
S’ella poi soffriva qualche male fisico, lo accusava alla madre, al medico per liberarsene il