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poteva occupare che il posto migliore per non soffrire disturbi di stomaco; la luce un po’ troppo viva offendeva le sue pupille; il menomo rumore, un odore acuto le dava il dolor di capo; i cibi alquanto grossolani od a lei non prediletti le riescivano indigesti; il pranzo ritardato di mezz’ora le cagionava languori penosi. Il sole le irritava la pelle ed una passeggiala d’un’ora prostrava tutte le sue forze, l’ammazzava di fatica. Di sera non sarebbe entrata in una camera da sola e senza lume, nè di notte avrebbe dormito, senza compagnia, per tutto l’oro del mondo.

Chi poi avesse ardito rivolgerle uno scherzo, una parola un po’ viva di rimprovero o le avesse negate le cure ed i riguardi che pretendeva, provocava in lei le convulsioni, o per lo meno l’ira sua, in modo da non ottenerne mai più il perdono.

Ortensia con tale smisurata sensibilità era un peso, un fastidio per la sua famiglia e per gli amici, perchè riusciva a tutti impossibile il contentarla e l’evitarle sempre penose sensazioni. Era mestieri che ognuno vivesse per lei ed ella non era capace di essere utile in nulla agli altri. Invece di vedersi stimata ed amata, per questa esagerata, stucchevole sensibilità, contraria alla buona educazione, ella veniva giudicata da tutti un’egoista, noiosa, permalosa, mal avvezzata, schiava delle sue passioni, incapace d’alto sentire, insopportabile. I più benevoli la scusavano col crederla malaticcia o mal ferma di mente.