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bile, che era ogni anno lo stesso protestante, lo stesso ebreo, che per cinque scudi si prestava a quell’ufficio.

Dalle feste religiose del Natale e del Capodanno si entrava nel carnevale, e al suono del campanone del Campidoglio veniva inaugurato il Corso da monsignor governatore di Roma con quattro carrozze di gala. Faceva seguito il senato con sei carrozze, nelle quali era il senatore con gli otto conservatori in gran robone e con paggi e fedeli in costume. Uguale cerimonia si repeteva il giovedì grasso e l’ultimo giorno; e continuò così ufficialmente, sino a dopo il 1870. Ma i carnevali, che andarono dalla caduta della repubblica al 1859, persero il loro brio, e se non li avesse un po’ animati la presenza dei forestieri, avrebbero avuta l’aria di mortorii, poichè la popolazione cessò via via dal prendervi parte. Fu nel 1859 che il carnevale riprese come si dirà la sua gaiezza per una serie di avvenimenti politici artistici e mondani, ma la gaiezza non andò oltre quell’anno, benchè la corsa dei bàrberi e lo spettacolo dei moccoletti, che ne erano le note caratteristiche, non mancassero mai. In Goethe, e in una folla di scrittori minori, italiani e stranieri, letterati e viaggiatori, il carnevale di Roma rivive con le sue descrizioni vivaci. Esso non somigliava a nessun altro. Si sarebbe detto che il Corso, con le sue logge, le piccole terrazze, e le piccole botteghe sino a piazza Venezia, fosse stato costruito apposta per quella baldoria. Ma non va dimenticato che in quei Corsî non mancava una civile educazione; che la plebaglia era tenuta a posto dai gendarmi; che non si gettava addosso a signori e a forestieri, quel po’ di ben di Dio che fu visto dopo il 1870, e per cui fu atto di civiltà averlo abolito. Allora per entrare al Corso bisognava avere carri e carrozze a due cavalli, che poi, verso sera, al secondo sparo dei mortaretti, dovevano uscire, per dar luogo alla corsa dei bàrberi. Un plotone di dragoni, comandato da un ufficiale, partiva a mezzo trotto da piazza del Popolo e si recava a piazza Venezia, dove, in una loggia del palazzo Nepoti, nel punto in cui il Corso finiva a imbuto, e detto la «Ripresa dei Barberi», troneggiava il senatore. L’ufficiale gli chiedeva il rituale permesso di far correre i bàrberi; e ottenutolo, tornava col suo drappello di tutta corsa in piazza del Popolo, e ordinava al