Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
52 | capitolo iii. |
fero del cambio; sia perchè cominciarono, dal primo giorno, le imprudenze e le indelicatezze di alcuni amministratori.
La banca aveva anche assunto l’obbligo. di destinare una parte dei suoi capitali ai coltivatori, ma, invece, per coltivatori intese qualunque mercante o sensale di prodotti agrari, concedendo loro il vantaggio per eccezione accordato ai coltivatori, di prestare a scadenze di un anno. Pur di vivere, la banca, mancando di affari, perchè il paese non aveva industrie, nè ricchi commerci, intraprese dal primo giorno operazioni di difficile liquidazione, abbondò nel credito di comodo, soprattutto quando, qualche anno dopo, il governo dette ai suoi biglietti corso legale. Subi perdite enormi, che i censori, brava ed inesperta gente, non erano in grado d’intendere e assai meno di valutare: perdite coperte abilmente da operazioni fittizie, e con contabilità, che pochi capivano. Ma a capo della banca era il fratello del segretario di Stato, e perciò i dubbi erano facilmente dissipati. Si diceva: la banca è tutta una cosa col governo, nè era permesso elevar dubbi, trattandosi di banca di Stato. E così si venne, fra ripieghi e magagne, apparecchiando quella catastrofe, la quale segnò nei nuovi tempi uno dei punti più neri della nostra storia bancaria e politica; che fece numerose vittime, e risvegliò per un momento il senso morale del paese.