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44 | capitolo iii. |
Stato, dalla provincia e dal comune per pagare opere pubbliche governative, provinciali e municipali: somma enorme, tenuto conto della limitata circolazione, e che costituiva un vero perturbamento del commercio. Si potè ritirarli, facendo precedere il ritiro dalle liquidazioni speciali, per stabilire le quote a carico di ciascuno dei tre enti, e mercè boni del tesoro. Il triumvirato dei cardinali aveva prorogato il corso forzoso dei boni bolognesi per un anno, ma non prima del gennaio 1852 furono potuti togliere dalla circolazione. Inviati a Roma, furono anche essi solennemente bruciati. La maggior parte dei municipi, i più grossi, pur di non decretare nuove imposte, preferì portare l’economie sino all’osso, riducendo le spese per i pubblici servizi, e singolarmente per la beneficenza e l’igiene.
Il malcontento, nel quale soffiavano i liberali, cresceva a misura che si risentivano gli effetti delle nuove gravezze. Eppure con tutti questi aumenti, sia detto per la verità, il dazio camerale o dativa erariale non superava in tutto lo Stato del Papa uno scudo e trenta baiocchi, pari a 6 lire e 98 centesimi, per ogni cento scudi di estimo censuario; e poichè il valore reale dì un fondo può considerarsi, con criterio medio, tre volte superiore al censuario, così la detta tassa, considerata la più gravosa, veniva corrisposta nella proporzione di lire 2 e centesimi 33 per ogni cento scudi di estimo reale: addirittura nulla rispetto a oggi. Le provincie e i comuni non superavano il decimo della tassa erariale, tranne Roma, dove si spingeva, come si è veduto, sino al 15. Il dazio di consumo o non esisteva come nei piccoli centri, o era minimo nelle città, e limitato al vino, agli spiriti, alla carne e al pesce. Il vino, ch’era il più colpito, pagava tre lire e dieci centesimi per ogni centoventi litri; e quando, negli ultimi anni, la tassa fu spinta a lire 4 e centesimi 25, vi fu timore di una sommossa nei quartieri popolari di Roma. Oggi si paga dieci lire e mezza per ettolitro. Non esistevano tasse di successione fra ascendenti e discendenti, e negli altri casi erano minime; e le tasse di registro, per passaggio di proprietà, non superavano il 2%. Il sistema tributario pontificio era più semplice, che non fosse nel reame di Napoli, ch’è tutto dire, e si mantenne così, salvo i pochi ritocchi, sino all’ultimo. Nel 1852 il bilancio presentava questi estremi: un attivo di scudi 10,473,129.90, e un passivo