Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/391


le proteste del papa e il congresso 373

data una straordinaria pubblicità, merita anche di essere esumata. Il Papa parlò così ai cardinali:


Venerabili Fratelli,

Al gravissimo dolore, onde, insieme con tutti i buoni, siamo compresi per la guerra insorta tra nazioni cattoliche, una massima afflizione si aggiunse per la luttuosa rivoluzione e perturbazione di cose, che testè avvenne in alcune Province del nostro Dominio Pontificio, per iniqua opera ed ardimento al tutto sacrilego di uomini empii. Voi bene intendete, Venerabili Fratelli, che Noi ci dogliamo con queste parole di quella scellerata congiura e ribellione di faziosi contro il sacro e legittimo civile principato Nostro e di questa Santa Sede; la quale congiura e ribellione alcuni perversissimi uomini, dimoranti in quelle stesse nostre provincie, non temettero di tentare, promuovere e compire, con clandestini ed iniqui conventicoli, con vergognosissime pratiche, tenute con persone di Stati circonvicini, con libelli frodolenti e calunniosi, con armi provvedute e venute di fuori, e con moltissime altre frodi ed arti perverse.

E non possiamo non lamentarci assaissimo che questa iniqua congiura sia primieramente scoppiata nella Nostra città di Bologna; la quale, colmata dei benefizii della Nostra paterna benevolenza e liberalità, due anni or sono, quando vi abbiamo soggiornato, non avea lasciato di mostrare e di attestare la sua venerazione verso di Noi e quest’Apostolica Sede. Infatti in Bologna, il giorno duodecimo di questo mese, dopochè inopinatamente ne partirono le truppe austriache, subito i congiurati con insigne audacia, conculcando tutti i divini ed umani diritti, e rilasciato ogni freno all’iniquità, non ebbero orrore di tumultuare e di armare, raunare e guidare la guardia urbana ed altri, e recarsi all’abitazione del nostro Cardinal Legato; ed ivi, tolte le armi Pontificie, innalzare e collocare in loro vece il vessillo della ribellione, con somma indegnazione e fremito degli onesti cittadini, i quali non temeano punto di riprovare liberamente sì gran delitto, e di applaudire a Noi ed al nostro Pontificio Governo.

Poi dagli stessi ribelli fu intimata la partenza allo stesso cardinale Nostro Legato; il quale, secondo il dovere del suo ufficio, non lasciava di opporsi a tanti scellerati ardimenti, e di sostenere e difendere i diritti e la dignità Nostra e di questa Santa Sede. Ed a tal segno d’iniquità ed impudenza vennero i ribelli, che non temettero di mutare il governo, e chiedere la dittatura del Re di Sardegna; e per questo fine mandarono loro deputati allo stesso Re. Non potendo dunque il nostro Legato impedire tante malvagità, e più a lungo sostenerle e vederle, pubblicò a voce ed in iscritto una solenne protesta contro quanto si era fatto da quei faziosi a danno dei diritti Nostri e di questa S. Sede, e sforzato a partire di Bologna si recò a Ferrara.

Le cose in Bologna, tanto iniquamente fatte, vennero cogli stessi colpevoli modi operate altresì in Ravenna, in Perugia e altrove, con comun lutto de’ buoni, da uomini scellerati; sicuri che i loro impeti non potessero venire repressi e rotti dalle nostre pontificie milizie, le quali, trovandosi in poco