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insorge bologna, ecc. 363

accadde un fatto non privo di comicità. La sera del 17 quattromila austriaci, provenienti da Ancona, vi giunsero inaspettatamente: spedati, sfiniti dalle lunghe marce, e în così cattivo stato che facevano pietà, dice il Pasolini. Erano diretti a Ferrara.

Al loro appressarsi la città fu invasa da paura. Si gridava al tradimento contro gli amici di Cesena, i quali non avevano rotta la strada a quelle milizie, o avviatele in altre direzioni. Vennero rimossi in fretta i vessilli tricolori, e rimessi i pontifici. La Giunta di governo si allontanò. Gli austriaci accamparono fuori la città, e non dettero molestia ai cittadini. Partirono l’indomani, 18, e dopo la partenza, ritornò la Giunta; sì rialzarono i vessilli sabaudi, e la rivoluzione si riaffermò. Il contegno pacifico degli austriaci fu dovuto in gran parte al tatto e al coraggio del Pasolini, e nelle memorie di lui sono riferiti altri particolari. Il preveduto e temuto passaggio della guarnigione di Ancona, che iperbolicamente si faceva ascendere a quindicimila uomini, arrestò il moto, ma di poco. La sera del 15 gli austriaci erano arrivati a Cesena, e ne ripartirono la mattina del 17. Appena fuori le mura, la città insorse, e il municipio formò la Giunta di governo, con Pietro Pasolini e Camillo Romagnoli alla testa. Il Romagnoli aveva in moglie una marchesa Honorati di Jesi, cugina anch’essa di Napoleone III, donna di vivace talento, e che tenne desto il fuoco liberale, promovendo riunioni e spettacoli di beneficenza. E nella stessa giornata del 17, saputa la partenza degli austriaci per Ravenna, insorsero Faenza, Rimini e altre città minori, sempre con la procedura di Bologna, e senza resistenza da parte delle autorità pontificie, civili e militari.

Ultima a insorgere fu Ferrara, donde, non prima del 21 giugno, parti la guarnigione austriaca, abbandonando precipitosamente la fortezza, i posti di guardia, e i magazzini di viveri. Partirono anche i militi pontifici, e monsignor Gramiccia, tranquillamente, parti anche lui. La rivoluzione, abbattuti gli stemmi, si affermò senza ombra di resistenza. Della Giunta di governo fu anima il conte Francesco Aventi Roverella, uomo di grande temerità, e agente della Società Nazionale, e del comitato nazionale della provincia, e da non confondersi con un suo omonimo, morto nel 1855, brav’uomo anche lui. Del comitato nazionale