la famosa lettera di lui del 1831, datata da Terni, al papa Gregorio XVI, e che si chiudeva con la comica frase: le forze organizzate, che si avanzano su Roma, sono invincibili. Il principe contava allora 22 anni; era oscuro e povero, e l’anno innanzi, studente nell’università di Roma, vi aveva lasciato non pochi, nè serii ricordi di sè. Ma, divenuto capo della potente nazione, c’era d’aspettarsi da lui un linguaggio più concludente e risoluto, e questo mancò. Bisogna nondimeno riconoscere, che la secolarizzazione non era per sè stessa impresa facile. Se Pio IX non sentiva per il laicato la stessa avversione, che sentiva il cardinale Rivarola, il quale diceva che negli Stati della Chiesa i laici dovevano essere appena tollerati per la generosità dei chierici, aveva però un’antipatia invincibile pei laici, memore di quanto eragli avvenuto nel periodo burrascoso del 1848, coi ministri laici, singolarmente col Mamiani, col Galletti e col Sermoneta, senza contare il maggiore di tutti, e più sventurato di tutti, Pellegrino Rossi. Secolarizzare l’amministrazione pubblica significava riformar tutto ab îmis, distruggendo il tenace pregiudizio, che gli ecclesiastici soli fossero buoni ad esercitare le più alte cariche pubbliche. Lo stesso laicato romano, anche il meglio pensante, non era persuaso che ciò fosse possibile. Lo Stato del Papa, per la confusione dei due reggimenti, accoglieva i vizi naturali dei peggiori governi laici, senza il vantaggio di un solo di essi. Dal Papa, vecchio ed eletto da vecchi, e però non in grado d’intendere le esigenze della vita sociale, non libero di sè, pure essendo principe assoluto; dal Papa, dico, all’ultimo membro della gerarchia, il potere veniva considerato quale usufrutto, trasmissibile ad ignoti, senza eredità di sistema, d’idee, e assai meno di affetti. Il Papa non obblisava il successore come sovrano temporale, ed ogni pensiero o tendenza di lui moriva con lui. La secolarizzazione trovò sempre resistenze invincibili nella curia romana, che, forse non a torto, temeva che da essa all’abolizione del dominio temporale fosse breve il passo. Basterà ricordare ciò che avvenne a monsignor Sala, il quale, durante il congresso di Vienna, aveva pubblicato il suo piano di riforme, consigliando la divisione dei poteri e la secolarizzazione delle cariche civili. Quel libro destò tale incendio, che il cardinal Consalvi, che pure era amico del Sala,