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350 | capitolo xviii. |
di casa Pizzardi, e infine di casa Pepoli, dove troneggiava, ricca di talento e di cortesia, Letizia Murat, figlia dell’eroico e infelice Re, prima cugina dell’imperatore dei francesi, e madre di Gioacchino Pepoli. La sorella Luisa era maritata, a Ravenna, al conte Giulio Rasponi. Pareva destino per la dominazione pontificia nelle Legazioni, che le figliuole dell’ex re di Napoli vi prendessero marito, e aprissero corte a Bologna, e a Ravenna, e le case loro diventassero centri di propaganda liberale, diretta, non ad ottenere dal Papa concessioni, nelle quali, dopo il 1857, non si credeva più, ma la liberazione dal suo dominio. A Bologna il Pepoli era fra i più caldi e irrequieti. Marito di una principessa d’Hohenzollern, morta di recente, viveva con lusso imperiale. Sua madre e sua moglie avevano titolo di «altezze». Circondato da cortigiani e da clienti, con un piede nell’aristocrazia più avida di borie, e l’altro in una democrazia, più turbolenta che sincera, il Pepoli godeva un gran prestigio per il nome, le ricchezze e il parentado, nonchè per il talento vivace, la parola immaginosa e la cultura discreta. Era suo segretario, per la corrispondenza con Napoleone, come si è detto, Federico Vellani, tuttora vivente, segretario del liceo musicale di Bologna, figlio di uno dei partigiani di Ciro Menotti, e uomo di riconosciuta rispettabilità.
Il Pepoli era legato al Minghetti, al Malvezzi, al Tanari, al Bevilacqua, a Camillo Casarini, a Ludovico Berti, a Rodolfo Audinot, e a Cesare Albicini, e assai stretto a suo zio Luciano Murat, pretendente al trono di Napoli, e per il quale si era mescolato in quelle torbide e inconcludenti cospirazioni, rimettendovi del danaro. Roso da vanità e da un’illimitata ambizione, i suoi viaggi a Parigi erano frequenti; e in uno di essi portò tre disegni di riforma dello Stato, da presentare all’Imperatore, redatti dal Minghetti; altre volte fu latore di lettere, e incaricato di missioni da parte di Vittorio Emanuele e di Cavour, benchè questi non se ne fidasse troppo. Se per la stretta parentela con Napoleone III, egli e i suoi cugini Rasponi non correvano pericolo di essere cacciati in prigione, od in esilio, non ne fu per questo minore il merito. La loro partecipazione diretta al movimento nazionale affidava circa le intenzioni del monarca francese, rispetto alle cose d’Italia, o almeno dava tutta l’apparenza