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348 | capitolo xviii. |
Negli anni, che corsero dal 1849 al 1859, Bologna era vissuta raccolta in sè stessa. Lo spirito liberale aveva compiuta la sua evoluzione, dopo il Congresso di Parigi, e le delusioni del viaggio del Papa; patriziato e alta borghesia, che vissero sempre in un accordo, che non si verificò forse mai in nessuna altra grande città d’Italia, non aspettavano, in quei primi mesi del 1859, che la partenza degli austriaci per insorgere, e proclamare la dittatura del re di Sardegna. In quegli ultimi tempi spirò una forte aura di fronda, in tutte le manifestazioni della vita bolognese: dall’Università, ai teatri; dai salotti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, nei quali si parlava liberamente delle nuove speranze, che venivano diventando realtà, alle riunioni dei nottambuli nei caffè. Nello spirito liberale di Bologna, ripeto, non si vedeva altra via di salute politica, che nel Piemonte. Dopo il Congresso di Parigi era stata accarezzata l’idea di un vicariato laico nelle Legazioni con sede in Bologna, d’affidarsi al re Vittorio Emanuele, ma se ne vide presto l’assurdità, perchè il Papa nulla voleva concedere, e i liberali bolognesi nulla potevano fare, con gli austriaci alle costole.
Nell’ottobre del 1858, il Minghetti aveva pensato di fondare un giornale settimanale per «diffondere le sane idee economiche, per esprimere gl’interessi industriali e commerciali del paese e occuparsi delle cose municipali, specialmente nelle attinenze loro coi miglioramenti materiali, igienici e morali». Ho raccolto curiosi particolari su questo punto. L’ufficio del giornale doveva aver sede nel palazzo Pepoli; e dieci azionisti, a sessanta scudi l’uno, pagabili a cinque scudi al mese, avrebbero formato i fondi del periodico. Il permesso di pubblicare un giornale l’aveva avuto, da qualche anno, il marchese Pepoli. Interessante una lettera del Minghetti al conte Giovanni Malvezzi Medici del 21 ottobre 1858, nella quale lo invita a mandare la propria adesione, e ad intervenire in casa di lui, per concludere tutto quanto occorreva. Il Malvezzi, che al Minghetti era legato da salda amicizia e da comunanza di principii, non se lo lasciò ripetere, e aderì; ma incalzando gli avvenimenti, il giornale non vide la luce. Si seguitava a pubblicare la quotidiana Gazzetta di Bologna, derivante, in linea diretta, dai vecchi bollettini del 600, e diretta da quel Carlo Monti, uomo non