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346 | capitolo xviii. |
stria una nota, nella quale affermava che il governo di Sua Santità si credeva abbastanza forte per mantenere la sicurezza e la pace de’ suoi Stati; e che, in conseguenza, era pronto ad entrare in trattative con le due potenze, per stabilire, nel più breve termine possibile, lo sgombero simultaneo del suo territorio, da parte delle truppe francesi e austriache. Il governo di Vienna rispose, il 4 marzo, che le truppe d’occupazione avrebbero sgomberato gli Stati pontifici, appena il governo del Papa avesse stimato, che la presenza di esse non era più necessaria al mantenimento dell’ordine. Risposta anodina, e forse in malafede. Occorreva Magenta, perchè l’Austria si risolvesse a richiamare le sue truppe. Il governo francese, invece, non tenne neppur conto della nota del segretario di Stato, il quale inviandola, proprio in quei giorni, veniva ad accrescere le difficoltà della diplomazia e dei governi nella quistione italiana. Il passo, dato dal cardinale Antonelli, era abile, perchè diretto ad impedire la guerra, ma destinato a non aver conseguenze.
Furono quelli i giorni più agitati per la diplomazia, che voleva ad ogni costo evitare la guerra, e obbligava Napoleone III a tornare sopra i suoi passi. Pareva che egli dimenticasse Plombières, e il patto di alleanza, mostrando di credere, invece, che la quistione italiana si potesse risolvere con un Congresso. Chiunque abbia studiato i documenti del tempo, ed abbia avuto qualche confidenza dagli uomini, che ebbero parte in quegli avvenimenti, può rendersi conto della suprema angoscia del conte di Cavour, che vedeva sfumare le sue speranze, i suoi disegni lungamente maturati, tutto il frutto del suo lavoro cospiratorio e audace di dieci anni. Fu proprio in quella prima quindicina di marzo, in cui, egli, vedendo tutto perduto, consigliò al Re l’abdicazione, per protestare contro la fede mancata di Napoleone III. Il Nigra crede persino che Cavour meditasse in quei giorni il suicidio, perchè ricorda, che trovandosi egli a Londra col conte Aynardo, lesse una lettera scritta a costui dallo zio, in termini da lasciar temere una risoluzione tragica. Gli annunziava anche di aver fatto testamento.
Nelle pagine del Chiala, che commentano le lettere di Cavour di quell’anno, e in altre pubblicazioni sincrone, si legge come il grande ministro, ch’era uomo di forti impeti e di pro-