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alla vigilia della guerra, ecc. 343

nella quale faceva ricadere la responsabilità dei frequenti attentati ai pessimi sistemi di governo dei principi d’Italia, e soprattutto all’abuso di espulsioni, esercitate a preferenza dal governo pontificio, e per cui, nel solo Piemonte, si affermava, gli esuli dello Stato romano sommavano a più centinaia. «Mandato in esilio», diceva la nota, «irritato da misure illegali, e costretto a vivere all’infuori della società onesta, e spesso senza mezzi di sussistenza, l’esule si mette in relazione con i fautori delle rivoluzioni. Quindi è facile a questi l’aggirarlo, sedurlo, affigliarlo alle loro sètte, e l’esule diventa in breve settario pericolosissimo». E concludeva che «il sistema seguito dal governo pontificio, aveva per effetto di somministrare di continuo nuovi soldati alle file rivoluzionarie, e finchè esso continuerà, tutti gli sforzi dei governi, per disperdere le sètte, torneranno vani».

Bisogna ricordare, che Felice Orsini era esule dello Stato del Papa, e aveva fatto parte della Costituente del 1849; e anche il ciabattino Pianori, colpevole di un precedente attentato contro Napoleone III, era fuoruscito romagnolo. La nota fu seguita da un dispaccio circolare, nel quale, ricercandosi la cagione degli attentati che, a breve distanza, si erano veduti, in quel tempo, a Parigi, a Genova, a Livorno, a Napoli, in Sicilia e a Sapri, si diceva che cette cause profonde de mécontentement qu’il est dans l’intérêt de toute l’Europe detruire, cette cause existe réellement, c’est l’occupation étrangère, c’est le mauvais gouvernement des États du Pape et du Royaume de Naples: c’est la prépondérance autrichienne en Italie.

La nota fu presentata al cardinale Antonelli dal nuovo ministro di Sardegna, conte Pes della Minerva, e provocò nuove escandescenze di Pio IX. Si osservò, che questo diplomatico, spingendosi molto più in là del Migliorati, era entrato, appena giunto, nella intimità di quei patrizi, che manifestavano opinioni politicamente non ortodosse, come il duca Sforza Cesarini, il duca Massimo, il duca di Sermoneta, e il principe di Santacroce; e riceveva Luigi Silvestrelli, Giuseppe Checchetelli, Alessandro Righetti, Carlo Maggiorani e Diomede Pantaleoni, tutti in voce di liberali, e che a lui faceva conoscere il Silvagni, cospiratore indomito e avveduto. Il Della Minerva, penetrando il pensiero