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328 | capitolo xvii. |
prattutto da Roma, per via di mare e di terra, era circondata da una quantità di abusi, e di magagne, alcune delle quali veramente umoristiche, anche per sottrarsi ai rigori dell’editto Pacca.
Il Galli, esaminando gl’introiti ufficiali, aveva rivelato un assurdo apparente, che, cioè, le provincie più ricche e popolose dello Stato eran quelle, che contribuivano meno alle dogane. Egli aveva diviso lo Stato tra provincie settentrionali, di là dall’Appennino, cioè Legazioni e Marche; e provincie meridionali, cioè Umbria e Roma sino a Terracina; e queste davano maggiori introiti alle gabelle, benchè, anche come quantità di popolazione, fossero tanto inferiori alle settentrionali. Questo assurdo egli spiegava giustamente col contrabbando, esercitato quasi alla luce del sole, sulla spiaggia adriatica e sui confini di Modena e della «Lombardia Veneta». E a provare le enormità del contrabbando, il Galli, tenendo sempre presenti le bollette di dogana sui generi coloniali, e calcolando il minimo consumo del caffè e dello zucchero, quello a 12 libbre, e questo a 24 all’anno sopra mezzo milione di consumatori, affermava argutamente, che si sarebbe dovuto ottenere dal solo caffè e zucchero più di quanto non fruttassero tutti i coloniali uniti insieme, e concludeva che su quei generi il contrabbando frodava l’erario per quasi più della metà dell’importazione. Ma divenuto ministro, non potè ripararvi, e la nuova convenzione con la Toscana non ebbe altro risultato, che di rendere più cauti i rapporti fra agenti e contrabbandieri nello stabilire i rispettivi obblighi, cioè se per ogni cento sacchi di grano, di caffè, di zucchero o di pepe, si dovesse pagare il dazio sopra cinquanta o sessanta. Non si ricorda che in quegli anni fosse stata presa alcuna misura di rigore contro direttori di dogane, o comandanti di doganieri, o ricevitori, o guardie, tutta gente che viveva largamente, quasi non facendo mistero delle fonti, donde traeva quegli utili. Il governo pontificio si dimostrò, fino agli ultimi giorni di sua vita, impotente a reprimere il contrabbando.