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teatri, giornali e strenne 315

periodico vide la luce qualche anno prima del 1870. Vi erano pure il Divin Salvatore, cronaca settimanale romana, diretta da Paolo Mencacci, e l’Eco del Divin Salvatore, pubblicazione della domenica; il Veridico, settimanale anch’esso, scritto da preti e frati politicanti, e il Vero amico del Popolo, diretto da Domenico Venturini. Un De Cinque pubblicava una rassegna mensile di statistica, assai povera cosa; e qualche anno prima del 1870, il marchese Augusto Baviera, di Senigallia, guardia nobile di Sua Santità, fondò l’Osservatore Romano, primo giornale politico e polemico, che i nuovi e procellosi tempi resero necessario. Il Baviera ebbe per collaboratori, tra gli altri, Fabio Gori e Gerolamo Amati, il quale, dopo il 1870, entrò nella stampa liberale, e acquistò nome nel Fanfulla. L’Osservatore Romano sopravvisse alla catastrofe del potere temporale, anzi divenne l’organo ufficiale e polemico del Vaticano, dopo il 1870; e benchè passato in altre mani e altri padroni, cammina coerentemente per la sua via, nonostante che i tempi siano tanto mutati, e molta acqua sia corsa sotto i ponti...


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Vi era anche l’abitudine di pubblicare delle strenne, che vedevano la luce a intermittenze, nè in così gran copia come a Napoli. Quella del 1858, stampata a Firenze dal Le Monnier con lusso di tipi, e raccolta da Paolo Emilio Castagnola e da Giovanni Torlonia, e dal titolo Strenna Romana, è fra le migliori. Tutti gli scrittori di versi vi contribuirono, e ricorderò Domenico e Teresa Gnoli, Fabio Nannarelli, Ettore Novelli, Ignazio Ciampi, Giovanni Torlonia e Quirino Leoni; e di prose, vi si legge un racconto storico di Giuseppe Checchetelli, narrante la tragedia di Corradino; e altre d’Ignazio Ciampi e Achille Monti. A differenza delle strenne di Napoli, quella di Roma conteneva più componimenti degli stessi autori, e di Teresa Gnoli ve ne sono dieci, fra odi e canzoni. Alcuni versi di lei, acclamata la maggiore poetessa del tempo, sono delicatamente inspirati. Del fratello Domenico vi è un’ode alla sua Cameretta, e un’altra al Passeggio. Domenico Gnoli aveva allora diciotto anni, com’egli stesso dichiara: «così son giunto al diciottesim’anno»,