Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/316

298 capitolo xv.

glesi della colonia dovevano rassegnarsi a frequentare quell’unica chiesa, innanzi alla cui porta agenti del Vicariato e della polizia stavano alla vedetta, per trarre in arresto qualunque estraneo vi penetrasse, il quale, o era condotto a far gli esercizi spirituali, o veniva chiuso per parecchi giorni nelle Carceri Nuove. Le altre ambasciate, o legazioni di Stati protestanti, avevano solo delle cappelle nelle rispettive sedi, come la legazione di Prussia al palazzo Caffarelli, e la legazione russa al palazzo Fooli al Corso. La legazione americana, nel tempo che vi era ambasciatore il generale Rufus-King, accomodò a cappella come si è detto, una delle grandi sale al secondo piano del palazzo Salviati, con grave scandalo della padrona di casa. Ciò avvenne nel 1866, ma fino a quell’anno, gli americani frequentavano la chiesa inglese.

I casi d’intolleranza avevano la loro più frequento manifestazione in occasione di matrimoni. Il conte Ferdinando Frenfanelli Cibo, guardia nobile, per sposare una ricca americana protestante, dove andar via di Roma, nè potè tornarvi e rioccupare il suo posto nel nobile drappello, prima che la sposa si convertisse al cattolicismo. Emanuele Ruspoli potè tornare in Roma, sol dopo la morte della sua prima moglie, principessa Vogorides, avvenuta a Genova nel febbraio 1870; e suo fratello Paolo, che sposo, come si è detto, la protestante signorina Jork, rimpatriò coi nuovi tempi. La loro bellissima sorella Francesca, vedova di Giovanni Torlonia, per sposare Nicola Kisseleff, ministro di Russia, dovette allontanarsi da Roma, nonostante le insistenze del duca Marino Torlonia, primo suocero della Ruspoli.

Si ricorda, che il Torlonia, andato per tale oggetto da Pio IX, n’ebbe in risposta: «Questo non sarebbe un matrimonio, ma un concubinato»; e don Marino, interpretando a modo suo la parola del Pontefice, si profuse nelle più vive espressioni di riconoscenza ed ai maggiordomi dell’anticamera annunziò, tutto soddisfatto, che il Papa s’era degnato di assicurarlo che «tutto era combinato».

Erano frequenti le cerimonie di abiura, alle quali si dava una nota singolarmente spettacolosa. Ne avvenivano ogni anno, specialmente il giorno di Natale, a San Pietro, nel momento dell’elevazione. Nell’ottobre del 1852, nella chiesa di Santa Caterina