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286 capitolo xv.

Perduti i sensi, cadde svenuto sulle scale di casa, mentre voleva correre appresso al figlio rapitogli, e soccorso tardò assai a rinvenire. Restò quindi per alcuni giorni sbalordito e negligendo i propri affari, andarono questi in ruina, perlocche dovette esulare.

3º La violenza patita dal fanciullo Edgardo. Sulle prime atterrito alla vista dei gendarmi, proruppe in pianti allorchè seppe la loro missione, e quando fu strappato dal seno paterno per metterlo in carrozza, si pose nuovamente a gridare, cosicchè all’escire in istrada dal gendarme che lo aveva in braccio, gli fu messa una mano alla bocca. Voleva infatti che il padre, e l’ebreo Giuseppe Vitta andassero seco. Laonde a calmarlo gli fu detto che sarebbero venuti appresso in altro legno. Anche durante il viaggio chiedeva dei suoi genitori, benchè tenuto a bada dal brigadiere Agostini con dolci e giuocattoli.

4. La compassione destata negli stessi gendarmi dall’inumanità del fatto, poichè ne furono tocchi fino alle lagrime; ed il maresciallo Lucidi, che diresse la esecuzione, ne rimase talmente conturbato da esprimersi: che in caso di altri simili ordini si sarebbe rifiutato all’obbedienza.


In ispecie


La incolpazione de’ coniugi Mortara che accusano il P. Feletti come quegli che fece eseguire il ratto del loro figlio.

La prova desunta dal deposto del maresciallo Pietro Caroli, e dell’ora sotto-tenente Giuseppe Agostini che la lettera al tenente colonnello De Dominicis ordinante il ratto del fanciullo Edgardo fu scritta ed emanò dall’inquisitore Feletti.

Questa lettera non riesci di averla in atti perchè sottratta dal De Dominicis al protocollo del corpo gendarmi appena escite nei giornali le prime polemiche intorno alla nequizia del fatto.

La prova scatente dal giurato deposto di sei testimoni che la esecuzione del sequestro del fanciullo fu sospesa per ventiquattro ore dal P. Feletti cui si diressero il Padovani ed il Moscato riportandone analoga lettera pel maresciallo Lucidi che vi diede pronta obbedienza.

Le ammissioni giudiziali del P. Feletti.

Il medesimo ai costituti abbandonò l’ostinato silenzio cui erasi appigliato nello interrogatorio stragiudiziale subito all’atto dell’arresto, e sebbene allora si dichiarasse vincolato a solenne giuramento di non prestarsi a rispondere sopra cose concernenti il Sant’uffizio, pure, giudizialmente interpellato sul ratto del fanciullo Mortara, dedotta preliminarmente la eccezione del privilegio del foro per non incorrere nelle censure ecclesiastiche, dichiarò che, trattandosi di un fatto pubblico, poteva dirne quello che già era a notizia di molti, e ne diede tutti i possibili dettagli, ammettendo di avere egli stesso ordinata la separazione del fanciullo dalla famiglia, e la sua traduzione nel collegio de’ Catecumeni a Roma, mediante analoga lettera diretta al colonnello De Dominicis, come pure ammise di avere alle istanze di Padovani e Moscato, con altra lettera al maresciallo Lucidi, fatta sospendere la esecuzione per ventiquattro ore.