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276 capitolo xiv.

legislazione e la prosperità materiale dello Stato non fecero che piccolissimi passi, se si considera il grande intervallo di cui siamo lontani dalle più civili nazioni.

Non è qui il luogo di proporre sistemi di ordinamento politico: sono desti i sospetti e vivi i rancori che impedirebbero un netto giudizio su tali proposte; ma vi sono pure bisogni e desiderî tanto universalmente sentiti ed onesti, che possono senza velo esporsi, e che quando giungano al trono del Pontefice, quasi non può dubitarsi non vengano ascoltati.

Se il municipio chiederà al Pontefice che un’amnistia consoli le numerose famiglie degli esuli e dei prigionieri per causa politica; che lo Stato venga liberato dal peso e dal disdoro delle occupazioni francese ed austriaca, ordinando in pari tempo un esercito del paese, sufficiente e non inferiore per istituzioni militari ai buoni d’Europa; se chiederà che venga finalmente promulgato un codice, che dalla procedura civile si tolgano le lungaggini, le eccessive spese; e dalle criminali le brutte anomalie dei tribunali eccezionali e le consuetudini di lentezza; se chiederà che le imposizioni abbiano un più equo riparto, sicchè siano veramente secondo ricchezza, e vengano d’altronde alleviate quelle che pesano troppo sui poveri; se chiederà che in pari tempo venga dato impulso od aiuto al commercio, all’industria ed all’agricoltura; e questo coll’abbassare i diritti doganali sulle materie prime, col render libero lo scambio dei cereali, col togliere l’impaccio dei passaporti tra provincia e provincia dello Stato, con gl’istituti di credito, con le nuove vie, con le scuole tecniche pei commercianti e per gli artefici, con l’adozione del sistema metrico di pesi e misure...

Se queste ed altre simili cose chiederà il municipio di Roma, chi dubiterà che desso non abbia parlato secondo il voto di Roma soltanto, ma di tutto il paese?

I cittadini qui sottoscritti tengono per certo, che di gravissimo momento sarebbe, nei consigli del principe, una domanda solenne al municipio romano. Essi confidano pure che questo municipio, chiamato a rappresentare nelle pompe il popolo romano, non si ristarà, per qualsiasi riguardo, dall’esprimere i voti.


E benchè questi voti fossero tanto modesti, rimasero inascoltati. Nei due anni, che corsero dal viaggio del Papa alla perdita delle Legazioni, proseguirono, ma con lena tutt’altro che affannata, i lavori ferroviari, e tutte le altre cose dello Stato. Era un governo stanco, che s’avviava inconsapevolmente alla sua fine; un governo, che, non più capace a reggersi da sè, si dibatteva fra le due grandi potenze protettrici: l’Austria, per tenere in soggezione le provincie di là dall’Appennino; e la Francia, Roma e il patrimonio. Un urto fra quelle potenze, e la sorte dello Stato del Papa era decisa. Il governo pontificio rappre-